KEEP CALM AND… FACCIO DA SOLO!

L’autonomia nell’infanzia è un traguardo magico per ogni bambino, il nostro compito di genitori, educatori, nonni, zii e tutori è quello di accompagnare i piccoli con fiducia nel loro processo di sviluppo cercando di capire i loro reali bisogni e assecondando le loro richieste di indipendenza.

“- Bene, gatto. Ci siamo riusciti – disse sospirando – Sì, sull’orlo del baratro ha capito la cosa più importante – miagolò Zorba – Ah sì? E cosa ha capito? – chiese l’umano – Che vola solo chi osa farlo – miagolò Zorba.”
(Luis Espulveda, Storia di una gabbianella e del gatto che le insegnò a volare, 1996)

Ho sempre amato questo libro, una favola profonda dal grande significato. Una storia che insegna che solo con costanza, determinazione e volontà si possono fare dei passi avanti. Questo gatto che insegna a volare alla gabbianella, innocente e ingenua, questo gatto un po’ come l’adulto e lei un po’ come una bambina.
Perché arriva un momento in cui i bambini devono prendere il volo: una capriola, poi lo scivolo, una corsa sul cemento, andare in bicicletta, il primo giorno di scuola con la cartella più grande di loro sulle spalle, i primi salti da un’altalena… arriva il momento in cui provano, provano e ci ri-provano a volte facendosi male, ma quanto è bella l’emozione sul loro viso soddisfatto, i loro urli che ci dicono: “Mamma guarda!”

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KEEP CALM AND FACCIO DA SOLO

Quanto è doloroso vederli cadere e quanto ci sentiamo fieri quando poi si rialzano e ricominciano a correre: e noi siamo li, a volte invadenti, a volte in disparte, a volte indecisi e altre disattenti. Siamo li, per non perderci niente, nemmeno un momento, perché sappiamo che poi, quando i bimbi prendono il volo, dobbiamo essere noi a dover imparare a fare da soli.

SCOPRIAMO L’AUTONOMIA ATTRAVERSO IL CONCETTO DI BISOGNO

Qualche settimana fa ero in un piccolo locale di Milano, uno di quelli con i tavoli piccoli e stretti. Quando succede questo, chiunque sia davanti a me, è come se pranzasse da solo perché la mia attenzione, purtroppo, si concentra su chi ho accanto.
Quel giorno accanto a me è capitata una coppia mamma e figlia. Un menù ristretto e la cameriera che lo presenta, la bambina in modo deciso, soddisfatto e sorridendo dice: “Vorrei i ravioli con le erbette e la ricotta!” e, prima che la cameriera potesse prendere nota la mamma ha iniziato a riempirla di domande: “Ma amore perché non prendi le penne con il ragù? E poi non vuoi assaggiare prima il soufflé per antipasto? Anzi, proviamo le tagliatelle con il sugo di noci, non vuoi le tagliatelle?” Il sorriso dal viso della bambina è scomparso, si è innervosita ed alla fine, in modo confuso ha detto alla mamma: “non ho fame!”

Ho scelto questo episodio per parlarvi del concetto di autonomia perché, essa, non è solo qualcosa di pratico che si riflette nelle azioni, ma è qualcosa che prima di tutto, passa dalle parole che genitori e figli, o nonni e nipoti si scambiano. Essere autonomi, nel suo significato etimologico, significa “essere in grado di autoregolarsi, di sapersi reggere da soli” (definizione da Treccani) .

Uno dei concetti su cui mi capita spesso di soffermarmi ai colloqui è quello di bisogno: adulti e bambini hanno bisogni differenti e accade a volte che i genitori o i nonni, per paura, vadano a sovrastare il bisogno di autonomia del bambino.

Lo psicologo Maslow (Brooklyn, 1º aprile 1908 – Menlo Park, 8 giugno 1970) , ha sviluppato una teoria molto interessante sulla gerarchizzazione dei bisogni: egli ha posto all’ interno di una piramide le diverse tipologie di bisogni che un individuo dovrebbe soddisfare nel suo corso di vita.

  • Si parte dai bisogni fisiologici, quelli riguardanti le cure primarie, dove un individuo dipende in tutto e per tutto da altri soggetti.
  • Seguono i bisogni di sicurezza e protezione, che potremmo ricollegare alla costruzione del legame di attaccamento tra le figure genitoriali e il bambino.
  • Troviamo poi i bisogni di affetto, appartenenza e riconoscimento sociale, per arrivare
  • Infine al bisogno di autorealizzazione.

E’ proprio nei bisogni di affetto, appartenenza e riconoscimento sociale che si attiva il cammino verso l’autonomia, quella voglia che il bambino, e più tardi il pre-adolescente, ha di camminare con i suoi piedi, di esplorare il mondo e prendere le proprie decisioni rimanendo pur sempre ancorato alle sue figure di riferimento.

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Immaginatevi uno yo-yo: un allontanamento ed un ritorno continuo che certo spaventa, anche se alcune volte sono più gli adulti ad essere spaventati da tutto questo.
Lo psicologo Bolwby (Londra, 26 febbraio 1907 – Isola di Skye, 2 settembre 1990), nella sua teoria dell’attaccamento, affermava che

Un genitore sufficientemente buono è colui che riesce ad accompagnare e sostenere i figli nell’ esplorazione dell’ambiente circostante, poiché solo attraverso la scoperta del mondo esterno il bambino riesce a creare un immagine di sé sicura e capace, ed andare dunque verso l’ auto realizzazione.

 Leggi anche-> Attaccamento e Teoria dell’Attaccamento di Bolwby

MA PERCHÉ L’AUTONOMIA FA PAURA?

KEEP CALM AND FACCIO DA SOLO

Quante volte, quando un bambino prova a fare qualcosa da solo e a sperimentarsi in qualche nuova azione, siamo li pronti ad intervenire o sostituirci? Piuttosto che vederlo fallire molti genitori o nonni intervengono, soprattutto con le parole:
“Non salire li, ti fai male!”
“Se continui a correre in questo modo va a finire che cadi, ti sbucci il ginocchio e piangi!”
“Non correre così, poi sudi e ti ammali!”
Sembra che tutto torni al vecchio detto “prevenire è meglio che curare” ma non sarebbe forse meglio, qualche volta, curare le ferite con la consapevolezza che il nostro bambino ha provato a fare da solo?

L’autonomia spaventa gli adulti perché per far si che questa si raggiunga occorre molto tempo e la costruzione di un legame di fiducia molto solido.
Lasciare che il proprio bambino diventi autonomo significa rispettare i suoi tempi, imparare ad accettarlo così com’è senza metterlo a confronto con il figlio di altri.
Significa avere pazienza, perché le azioni dei bambini non saranno mai perfette e precise al primo colpo, ci vuole esercizio e ce ne vuole tanto.
Significa saper riconoscere, comprendere e legittimare le sue emozioni e i suoi bisogni senza giudicarlo ma accoglierlo.

Sostanzialmente, accettare che il proprio bambino diventi autonomo senza provare troppa paura, significa dedicargli tempo e spazio, un tempo che, spesso, a causa dei continui impegni quotidiani purtroppo non abbiamo. Ricordo sempre ai genitori che parlano con me che siamo nella società del tutto e subito e che spesso trasferiamo questo nostro modo di pensare anche sui bambini: “Mio figlio ancora non parla mentre quello della mia amica si e io sono stufa di non capirlo, non posso sempre perdere tempo per capire cosa vuole o non vuole!”
Frasi che sono il riflesso di una società in cui il tempo manca anche per le cose più importanti. Ma pensateci, come possono i nostri figli acquisire fiducia in sé stessi se siamo i primi a non dar loro fiducia? Se siamo noi, i primi a non credere che possano farcela?

PERCHÉ E’ IMPORTANTE RENDERE I NOSTRI FIGLI AUTONOMI? 

Non si tratta solo di andare da soli sul’altalena o di correre sul cemento. Si tratta di acquisire fiducia e sicurezza in sé stessi e di sviluppare la capacità di sapersi lanciare in nuove strade.
Bambini con genitori iperprotettivi o molto ansiosi è possibile che crescano con un grado di autostima molto basso o che abbiano paura ad affrontare nuove sfide. E’ possibile che rimangano anche apatici di fronte ai nuovi stimoli, poiché hanno acquisito l’idea di non saper fare niente.

I genitori che si sostituiscono per velocizzare i tempi o per rendere tutto perfetto non aiutano il bambino. Sostituirsi al bambino nel compiere le azioni lo fa sentire inadeguato e inadatto ad una situazione. Il genitore dovrebbe accompagnare e non sostituire,una presenza costante ma non invadente, capace di sostenere ed ascoltare.
Ho conosciuto ragazzi alla scuola media che ancora non sanno preparare la cartella da soli e non ricordano quali materie hanno a scuola perché è la madre che prepara loro la cartella; ho visto genitori chiedere alle insegnanti di classe di non dare compiti ai bambini nel week-end perché c’era un importante partita di calcio o un saggio importante; ho conosciuto genitori che hanno contestato la bocciatura del figlio minacciando i professori di morte.

COSA HANNO IN COMUNE QUESTI AVVENIMENTI? 

KEEP CALM AND FACCIO DA SOLO

Il genitore si pone davanti al bambino con una sola speranza: evitare che il bambino soffra, evitare che il ragazzo faccia fatica, velocizzare i tempi e i percorsi. Ma si sa, che ad andare veloci si perdono pezzi importanti. Allora, di detto popolare ne preferisco un altro, il famoso “chi va piano va sano e lontano” e aggiungerei che intanto s’ impara.

Lasciare che i bambini facciano da soli implica anche che imparino a soffrire, a fallire e trovare altre strade. Significa permettergli di sviluppare la capacità di ragionare per alternative e di guardare gli avvenimenti da prospettive diverse. Fallire e soffrire implica anche saper sviluppare un piano B e di aprire la propria mente a diverse soluzioni.
Lasciare che i bambini falliscano e imparino dai propri errori permetterà loro di sapersi apprezzare, di non dover continuamente cercare conferme esterne sul loro valore.

Lasciamo che i nostri figli falliscano e imparino a volare.



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