Una serata al Museo della Scienza con #ciboinfermento: 6 cose da sapere sul mondo delle fermentazioni

Il cibo, specie se fermentato, è roba da museo. Potrei riassumere così “Cibo in Fermento”, un laboratorio-evento promosso da Yakult a cui ho preso parte presso l’i.Lab Alimentazione del Museo della Scienza e della Tecnologia. È stata una serata appassionante e ricca di informazioni, grazie alla guida di Antonella Losa, nutrizionista e divulgatrice scientifica.

Scienza e tradizione si incontrano proprio a tavola quando si parla di cibi fermentati, ed è entusiasmante vedere come l’una sostenga l’altra: tante scoperte empiriche, tramandate con le ricette e il sapere tradizionale, sono state confermate dai più recenti studi scientifici e questo non smette di affascinarmi.

I contenuti e gli spunti dell’incontro sono stati ricchissimi. Ho deciso di riassumerli in 6 cose da sapere sui fermentati (se però volete approfondire non perdetevi i post in cui abbiamo parlato di yogurt, kefir e kimchi: abbiamo raccontato come si preparano, come si comportano nel nostro corpo e perché ci fanno bene).

1. Mangiamo con tutti i cinque sensi

Nell’esplorazione del mondo dei fermentati siamo partiti dall’olfatto: 9 provette con 9 diversi aromi, estratti grazie alle tecnologie presenti negli i.Lab del Museo. Non sempre è stata un’esperienza piacevole e spesso è stato difficile risalire al cibo di partenza: forse perché siamo meno abituati dei nostri antenati a usare il nostro naso, ma soprattutto perché il cibo è un insieme complesso di sostanze, proprietà e fattori, ed estraendone solo una parte lo rappresentiamo necessariamente in maniera parziale. Allo stesso modo, ogni eccessiva semplificazione (“il cibo x fa bene/il cibo y fa male”) rischia di portare a una distorsione.

2. Muffe, lieviti e batteri sono nostri amici

Fave di cacao, latte, semi di soia, cavolo cappuccio: che cos’hanno in comune? La risposta è quasi ovvia. Sono tutte materie prime che, dopo la fermentazione, danno origine ad alcuni dei cibi più comuni e deliziosi sulle nostre tavole – cioccolato, yogurt, kefir, burro, formaggio, tempeh, salsa di soia, crauti. Di questa trasformazione dobbiamo ringraziare muffe, lieviti, batteri lattici e acetici, e gli zuccheri presenti nei cibi che ne costituiscono il nutrimento. È grazie a questi elementi che la fermentazione ha origine!

3. I fermentati sono presenti nelle tradizioni gastronomiche di tutto il mondo

 

Questa mappa riporta una selezione di 100 alimenti fermentati – escludendo le bevande alcoliche – sulle migliaia presenti ancora oggi in tutto il mondo: limitandoci ai soli latti fermentati, se ne contano più di 400!

Storicamente, in ogni parte del mondo le condizioni climatiche e la flora microbica del luogo hanno fermentato ciò che in quell’area era disponibile partendo da una esigenza di maggiore conservabilità: in Europa carni e alcuni ortaggi, in Africa i cereali, mentre l’Asia, vera culla degli alimenti fermentati, vanta una grande tradizione che copre le più svariate categorie alimentari, con predominanza di verdure, pesce e legumi (soia in primis).

Il Giappone è poi un caso particolare: basandosi sulla sua grande diffusione di cibi fermentati e sul profondo know-how che ne derivava, ha saputo anche innovare la tradizione cogliendo l’opportunità di applicare le proprie conoscenze a nuove materie prime. Nasce così, ad esempio, la papaya fermentata, utilizzata ancora oggi come tonico e ricostituente; e, da un alimento ben poco tradizionale in questo Paese, il latte fermentato Yakult. Il medico e microbiologo Minoru Shirota, basandosi sulle più avanzate conoscenze scientifiche di quel tempo – parliamo degli anni ’20 del Novecento – intuì che specifici batteri potessero avere un ruolo nei meccanismi di difesa dell’organismo, entrando in competizione con i batteri patogeni nella colonizzazione dell’intestino. La sua visione prese forma nel 1929, quando riuscì a isolare e coltivare il ceppo probiotico che porta il suo nome, il Lactobacillus casei Shirota (LcS): un batterio in grado di superare la barriera gastrica, che potesse essere agevolmente coltivato per dare origine ad un prodotto accessibile a tutti. L’importanza di una precisa selezione dei microrganismi era molto chiara nella tradizione giapponese della fermentazione, che operava in questo senso con grande perizia e accuratezza già in altri ambiti della produzione di alimenti fermentati.

4. L’acidità non è solo una questione di gusto

L’acidità che si origina quando i batteri “mangiano” gli zuccheri non ha impatto solo sul gusto dei cibi che si ottengono. Gioca invece un ruolo fondamentale per due motivi: da un lato abbassa il pH così da rendere la vita difficile ai batteri che possono alterare gli alimenti, e agisce quindi come arma per la conservabilità; dall’altro modifica le componenti dell’alimento di partenza conferendogli nuove proprietà. Se pensiamo al latte e allo yogurt, ad esempio, l’acidità che si sviluppa con la fermentazione fa cambiare la struttura delle proteine e le fa coagulare: il risultato è una maggiore consistenza e una nuova texture dell’alimento ottenuto.

5. La fermentazione trasforma i cibi dal punto di vista nutrizionale

La maggiore acidità non è certo l’unica trasformazione che avviene quando un alimento fermenta. Molte di queste trasformazioni rendono il cibo più interessante per quel che riguarda il loro profilo nutrizionale:

  • I cibi fermentati sono alimenti in qualche modo predigeriti e pertanto più digeribili: La pre-digestione regalpa all’alimento finale una “semplificazione” di importanti nutrienti come le proteine, che vengono scisse in parti più piccole, costituite da proteine più corte o dagli stessi amminoacidi che le compongono.
  • Contengono enzimi indispensabili per la nostra salute: quelli più coinvolti nelle fermentazioni alimentari sono batteri e lieviti e, tra i batteri, soprattutto quelli lattici. Sono tanto più salutari quanto più sono in grado di arrivare vivi e attivi nel nostro intestino, e di colonizzarlo. Alcuni specifici lactobacilli e bifidobatteri, poi, sono in grado di favorire l’equilibrio della flora batterica: sono i cosiddetti probiotici.
  • Oltre agli enzimi, la fermentazione può portare a un arricchimento in vitamine e altre sostanze utili come le batteriocine, ovvero sostanze riversate nel prodotto fermentato proprio dai fermenti utilizzati che hanno la capacità di inibire la crescita di altri microrganismi esplicando un’azione antimicrobica. Anche queste sostanze, a loro volta, possono contribuire alla migliore conservabilità degli alimenti fermentati.

Ma allora tutti i cibi fermentati sono sani? La domanda è legittima, e la risposta è no, non necessariamente. È bene consumare ad esempio il salame con parsimonia, specie in particolari condizioni come ipertensione o sovrappeso. Ma questo non dipende dal fatto che sia prodotto per fermentazione!

6. La fermentazione ha effetti positivi sulla nostra salute

Una volta ingeriti, cosa fanno i cibi fermentati all’interno del nostro organismo? Il destino di tutto ciò che mangiamo è andare incontro a un percorso ricco di insidie, volte a distruggerlo: è così che funziona la digestione, un meccanismo indispensabile per assorbire le sostanze di cui abbiamo bisogno. Due incontri in particolare minano largamente la sopravvivenza dei microrganismi che ingeriamo: quello con i succhi gastrici, prima, e quello con i sali biliari, poi. Solo i microrganismi che superino tutti questi ostacoli possono arrivare vivi all’intestino e agire su di esso.

Alcuni tipi di probiotici, come il Lactobacillus Casei Shirota, sopravvivono al passaggio nello stomaco e nel duodeno in proporzioni adeguate a continuare ad agire nell’intestino, andando a favorire l’equilibrio del microbiota. E, come sappiamo già, un intestino felice è una vera centrale del benessere per tutto l’organismo, cervello compreso. Il microbiota dialoga con il nostro sistema immunitario, oltre a essere implicato nella funzionalità intestinale in senso più stretto, ed è in grado di “parlare” al cervello modulando ad esempio stati di stress, ansia, depressione. Per agire sul microbiota, i probiotici colonizzano temporaneamente l’intestino, andando a modificare l’ecosistema intestinale, con azioni che possono impedire il proliferare di “batteri cattivi”.

Se poi vogliamo che i probiotici facciano al meglio il loro lavoro, non dimentichiamo altre buone abitudini alimentari che favoriscono l’equilibrio della flora batterica. Ci vengono in aiuto in questo senso un consumo adeguato di fibre – in particolare di quelle dette prebiotiche, ovvero in grado di favorire maggiormente lo sviluppo di “batteri buoni” nell’intestino – e un regime alimentare che non ecceda in grassi – saturi in particolare – ma neanche in proteine o zuccheri.

Questo post è realizzato in collaborazione con Yakult Italia.



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